imageProbabilmente non si potrà mai sapere con esattezza quando l’uomo si rese conto di poter effettuare dei calcoli e, soprattutto, di essere in grado di farlo attraverso l’uso di uno strumento pensato ad hoc per svolgere questa funzione. Questa capacità di muoversi nell’universo dei numeri, primo passo per il dominio dei dati e delle informazioni, ha sempre rappresentato per l’uomo una sfida affascinante e stimolante, portata avanti nei secoli, pur con le inevitabili e conseguenti limitazioni della tecnologia del proprio tempo. Solo nella seconda metà del ‘900 si è affermata quella capacità intuitiva e scientifica in grado di portare alla nascita dello strumento più adatto e più aderente al concetto stesso di calcolo in tutti i suoi più vari aspetti: il computer. Il suo stesso nome, infatti, chiarisce le sue prerogative: “Computer” deriva dal verbo latino “computare”, che significa “fare di conto”. Potrà sembrare strano, ma i “personal computer“, i famosi “Pc” che utilizziamo quotidianamente, sono il risultato attuale, e allo stesso tempo parziale, di un processo che ha avuto inizio esattamente nel 1642, quando il filosofo francese Blaise Pascal costruì la prima calcolatrice meccanica con riporto automatico fino ad otto cifre, aprendo quel “sentiero” tecnologico e scientifico che porterà alla nascita e allo sviluppo di quella che noi chiamiamo usualmente “informatica“, cioè la scienza che studia l’elaborazione dei dati e, più generalmente, il trattamento automatico delle informazioni, che trovó la sua prima, più alta espressione durante la Prima Guerra Mondiale, durante la quale il famoso matematico, padre dell’informatica moderna Alan Turing (con il sostegno di Churchill), riuscì a decrittare i messaggi tedeschi codificati con “Enigma“, la macchina crittografica realizzata nel 1923 dal berlinese Arthur Scherbius. Questo apparecchio, che impiegava un cifrario polialfabetico, funzionava in modo relativamente semplice: con una pila elettrica e un sistema di tamburi rotanti e commutatori elettrici, si digitava la prima lettere in chiaro, e la macchina generava la lettera cifrata, che appariva nel tabellone luminoso. Dopo questo processo, automaticamente, il primo scambiatore effettuava una rotazione per passare alla posizione successiva (si aveva così una nuova cifratura dei caratteri). Questo sistema di crittografia permise ai nazisti di trasmettere messaggi praticamente indecifrabili nella primissima parte della guerra, e, per svelare i segreti di “Enigma“, Turing e T. H. Flowers, un esperto di centralini telefonici, realizzarono “Colossus“, il primo calcolatore elettromeccanico britannico impiegato per provare ad enorme velocità tutte le possibili combinazioni dei codici della macchina crittografica nazista. Proprio la decrittazione del codice di “Enigma” costò alla marina italiana tre incrociatori pesanti e due cacciatorpediniere nella battaglia di Capo Matapan del 28 marzo 1941. Questo perché gli inglesi seppero fin dall’inizio le strategie e i movimenti della nostra flotta. “Colossus” era fornito di 1.500 valvole e pesava più di una tonnellata. Non aveva memoria e non poteva essere programmato. Eppure, era in grado di trattare 5.000 caratteri al secondo e di decifrare ogni giorno, dopo avere scardinato il sistema crittografato di “Enigma”, più di 4.000 messaggi segreti tedeschi e altrettanti giapponesi e italiani. Churchill, però, non si rese conto fino in fondo delle enormi possibilità date dai calcolatori e dalle teorie di Turing. Dopo la guerra, ordinò di smontare e distruggere tutti i modelli di “Colossus” utilizzati per sconfiggere i nazisti. Gli anni del dopoguerra fecero comunque registrare un balzo in avanti nella progettazione e nella costruzione dei calcolatori: furono gli anni in cui dominarono i “dinosauri“, per via del loro peso e delle loro dimensioni, ai quali fece seguito una grande invenzione, capace di far progredire ulteriormente l’avvento delle macchine calcolatrici. Questa invenzione, la prima di una lunga serie, si chiama “Transistor“. Ma questa è un’altra, lunga e affascinante storia!