E’ un accostamento che fa sussultare anche quelli che ritengono che il primo Pc lo abbia inventato l’italianissima Olivetti, un po’ prima di Ibm. Perché prima di Steve Jobs c’era lui: Adriano Olivetti. A dimostrazione che il nostro Paese è “piccolo” solo per dimensioni geografiche. E viene istintivo chiedersi che strade avrebbero preso l’industria e il capitalismo italiano se le cose fossero andate diversamente. Se cioè il 27 febbraio del 1960, sessantadue anni fa, Adriano Olivetti non fosse morto di infarto su un treno diretto in Svizzera, interrompendo prematuramente la parabola terrena di uno dei più eclettici, lungimiranti e geniali imprenditori che l’Italia abbia mai avuto. Una azienda che contava all’incirca 36 mila dipendenti, di cui la metà all’estero e che dalle macchine per ufficio stava sviluppando ricerche nel campo dell’informatica. E al tempo la Silicon Valley era nient’altro che una landa desolata della California.Nato a Ivrea nel 1901 da una famiglia di industriali ebrei, Adriano si laurea in ingegneria chimica al Politecnico di Torino, compie un viaggio di studi negli Stati Uniti ed entra a 25 anni nell’azienda paterna, cominciando con un periodo di apprendistato come operaio. Nel 1933 diventa direttore generale della società Olivetti e nel 1938 presidente. E l’accostamento ardito, ma dovuto e suggestionante, è automatico. Forse dovuto.Adriano Olivetti e Steve Jobs sono stati due grandi visionari mossi dall’idea di cambiare il mondo con le loro scoperte e la loro organizzazione del lavoro, senza contare che Steve Jobs deve tutto all’Italia, sono stati i nostri designer e il nostro amore per l’estetica a fare di un abile imprenditore il genio della Apple.Perché ad unirli non è solo il computer (l’uno ha creato il primo pc nel mondo, l’altro è il padre del Mac), ma qualcosa di più profondo e utopico. Per definire Steve Jobs (e ringraziarlo per come ci ha migliorato la vita) basterebbe rileggere il testo del discorso pronunciato a Stanford nel 2005 in occasione della festa del graduation day: “Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non lasciatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altri. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui lasci affogare la vostra voce interiore”. Che sembra incredibilmente simile a quanto disse una volta proprio Adriano Olivetti: “Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”. A sessantadue anni dalla sua morte, del progetto visionario ma non utopico di Adriano Olivetti restano solo la storia di una grande azienda e un’idea di sviluppo umano e sociale, che l’Italia del precariato, degli esodati e dei call-center, sembra aver completamente dimenticato.Nel gennaio 1960, poche settimane prima di morire e nel pieno dello slancio creativo, Adriano Olivetti pubblicava la prima edizione di “Città dell’uomo”, il suo volume più celebre destinato a diventare un testamento spirituale. Gli scritti e i discorsi raccolti nell’antologia, riproposta oggi in una nuova edizione accresciuta, trasmettono ancora intatta e fortissima la passione civile, a tratti mistica, che li ispirò. Ciò che emerge da queste pagine non è un’idea vagheggiata e astratta di convivenza civile, ma la ricerca attiva e inquieta di un’autentica città dell’uomo, di una società fondata sul rispetto dei valori dello spirito, della scienza e degli ideali inalienabili di giustizia e dignità, perseguiti lontano da ogni retorica, rimanendo vicino al nucleo più intimo e insieme universale dell’uomo. Il funerale si svolse tre giorni dopo e vi partecipò tutta la cittadinanza. Mentre si svolgevano i funerali, la sua villa fu messa a soqquadro. Inizialmente sembrava che non fosse stato sottratto alcun oggetto di valore. Eppure ve ne erano cose preziose da prendere, carte sparse ovunque, cassetti aperti. Poi trapelò la notizia che erano scomparsi, invece, importanti documenti. Chi furono gli autori? Non si è mai saputo. E intanto la casa in cui è cresciuto Steve Jobs verrà dichiarata “patrimonio storico”.