All’indomani del roboante annuncio, da parte della Nasa, della scoperta di un sistema extrasolare di sette esopianeti dalle dimensioni simili a quelle della Terra, si è accesa l’immaginazione di tutti: chi non ha considerato la possibilità, staccando lo sguardo dai problemi di tutti i giorni per guardare al cielo, di vivere in uno di questi nuovi pianeti? Il nuovo gruppo planetario intorno alla stella TRAPPIST-1 ha il numero più alto di pianeti con dimensioni paragonabili alla Terra mai scoperto finora, e allo stesso tempo il maggior numero di mondi con un’alta probabilità di avere acqua liquida sulla superficie – come laghi e oceani – che potrebbe avere sostenuto la formazione della vita. È una scoperta dalle grandi implicazioni non solo per la ricerca, ma per l’umanità in generale, perché pone domande sulla nostra stessa esistenza e sul posto che occupiamo nell’immensità dell’Universo. È decisamente troppo presto per capire se e come tali pianeti possano supportare o ospitare la vita perché, per formulare ipotesi, è necessario avere informazioni sulla composizione della loro atmosfera. Cosa che avverrà dopo un periodo abbastanza lungo di studi, con l’arrivo dei telescopi di nuova generazione, come il James Webb Space Telescope. Si tratta di telescopi così potenti da vedere l’effetto di filtro che l’atmosfera di un pianeta provoca nella luce della sua stella ogni volta che le passa davanti. Il principio alla base di questo metodo è un po’ quello delle ombre cinesi, applicato a livello interplanetario: quando un oggetto (per esempio un esopianeta) passa davanti a una fonte luminosa (come una stella) proietta un’ombra nella direzione dell’osservatore. E questo è quello che fanno di routine i telescopi attuali, cioè catturano le immagini delle ombre proiettate dagli esopianeti che passano davanti alla propria stella. Se però l’oggetto ha una sua atmosfera, questa può assorbire un po’ della luce proiettata dalla stella ai margini dell’ombra, dando luogo a un caratteristico spettro di assorbimento. I gas e gli altri materiali che compongono l’atmosfera, infatti, fanno da filtro e trattengono determinate lunghezze d’onda della luce. Captare queste differenze nella composizione della luce che arriva ai nostri telescopi aiuterà a capire la composizione dell’atmosfera dell’esopianeta. E quindi a fare ipotesi sulla sua effettiva abitabilità. Secondo gli esperti della Nasa il telescopio di nuova generazione James Webb Space Telescope, con uno specchio sei volte più grande di quello del telescopio spaziale Hubble, sarà in grado di misurare in dettaglio gli spettri degli esopianeti. Ma per scoprire le sue reali capacità dovremo aspettare il suo lancio, previsto per il 2018.