imageDall’avvento di Google, la legge che regola la scansione delle notizie e dei nuovi avventori del web è solo una: tutto quello che scriviamo resta indelebilmente tra le maglie della rete, e, in ogni momento, può essere riportato alla luce. Siamo abituati a rendere noti dati e dettagli sulla nostra vita provata, ma che fine spetta a questi dati se decidiamo di chiudere il nostro blog o cancellarci dal social network che quotidianamente aggiorniamo con tante foto e informazioni? Vengono eliminati oppure nascosti? A questo ci ha pensato l’Unione Europea, regolamentando il modo in cui vengono gestiti i nostri dati in rete, specialmente per ciò che concerne il cosiddetto “suicidio virtuale”, cioè la cancellazione di tutti i nostri dati da internet, anche quelli che restano estranei alla nostra sfera di controllo. Per ovviare a questa damnatio memoriae al contrario, la Corte di Giustizia Europea aveva sancito il diritto per i cittadini comunitari a poter vedere rimosse notizie inesatte, superate o scorrette che li riguardano. E il colosso di Google si è adeguato, dando attuazione alla tutela del diritto ad “essere dimenticati su Internet”, proprio come richiesto dalla giustizia europea. Non è della stessa opinione Wikipedia, che si scaglia contro questo diritto all’oblio, ritenendolo ”profondamente immorale” e generatore di un “internet crivellato di buchi di memoria”. Infondo, sostiene l’enciclopedia più cliccata del web, la storia è un diritto umano, e una delle cose peggiori da fare è usare la forza per mettere a tacere ciò che è stato sotto i riflettori della rete per un bel po’ di tempo.

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