imageDove e come arriverà l’uomo, tra mille anni, cavalcando l’onda dell’evoluzione? Chi non si è mai posto questa domanda; tutti, prima o poi pensano a come sarà davvero l’uomo del futuro. Il fatto che, a bordo dei mezzi pubblici o tra i tavolini di un bar, il 90% delle persone intorno a noi fissa lo schermo del proprio smartphone, è un fenomeno che sta accadendo adesso. Si ha la sensazione che la maggior parte di noi stessi sia occupata e dominata dalla tecnologia. Ma l’iperconnessione a cui ci ha abituato Internet sta per mutare e, con esso, cambierà il volto della società. E dell’uomo. Questo nuovo processo di avanzamento nell’evoluzione della specie umana (o umanoide?) è stato innescato dall’Internet delle Cose, conosciuto dagli anglofoni come Internet of things, un processo che – come sappiamo – permette un’interrelazione sempre più stretta fra la rete e gli oggetti di uso comune. Un filone di ricerca tutt’altro che avveniristico ma quanto mai concreto se pensiamo che, oggi, dipendiamo dal Web pressoché per tutto e, a quanto pare, proprio questa costante presenza di Internet nel mondo reale finirà per decretarne la fine. O almeno questa è stata la profezia di Eric Schmidt, presidente di Google, resa durante la conferenza intitolata “Il futuro dell’economia digitale”, tenutasi a Davos lo scorso 22 gennaio. In sostanza, Internet scomparirà a causa della massività di indirizzi IP, dispositivi, sensori, oggetti da indossare, cose con cui interagire che sono, oggi, parte integrante e continua della nostra quotidianità. Ed ecco affiorare due distinte correnti di pensiero, tra fautori delle sorti e progressive dell'”ipertecnologizzazione” della società e i sostenitori della tesi secondo cui ciò che stiamo creando controllerà noi. Una rivoluzione copernicana in cui l’uomo crea da sé il suo padrone. Alla seconda schiera, tra l’altro, si sono iscritti due grandi della tecnologia e della scienza: Bill Gates e Stephen Hawking, secondo i quali Internet of things significa progresso, evoluzione, informatizzazione delle più basilari operazioni quotidiane. Il che si tradurrebbe in una costante (e inesorabile) sostituzione della macchina a noi, con l’uomo che diventerebbe totalmente dipendente dall’intelligenza artificiale, mentre la razza umana perderebbe (o perderà?) la propria essenza. La concezione stessa di uomo che oggi conosciamo ed alla quale facciamo tutti riferimento verrebbe persa. Il rischio, quindi, è che si dissipi ogni scintilla umana che fa di noi ciò che siamo. Che ogni operazione ci venga inibita dalla dimenticanza di ciò che eravamo, dalla necessità di disporre di una macchina che la esegua per noi. Forse, dipenderemo dall’intelligenza artificiale, forse l’Internet of things porterà ad atrofizzare le nostre facoltà più istintuali e insite in noi fin dalla notte dei tempi. Forse sarà così, forse no, ma se così fosse, siratterà di una dominazione invisibile, una servile obbedienza a un robot che ci chiamerà “Signore”.