imageIl lavoro fisico e manuale ha subito una prima accelerazione straordinaria con l’invenzione delle macchine a vapore, la scoperta dell’energia elettrica e con le seguenti innovazioni complementari più o meno tardive. Oggi i nuovi sistemi informatici permettono di fornire una forma di accelerazione molto superiore per quanto riguarda il lavoro cognitivo. Infatti, la nascita della vera intelligenza artificiale (IA), reale ed efficiente, e la connessione di quasi tutti gli abitanti del pianeta attraverso una rete digitale comune, consentono il massimo sfruttamento della scienza. I robot, le macchine, la tecnologia cambiano il modo di lavorare, cancellando alcune professioni e creandone di nuove. E così, le aziende risparmiano e i numeri delle risorse umane oscillano. È quindi il caso di dire che i robot si stanno umanizzando? Sembrerebbe proprio di sì. Almeno ascoltando quanto detto nel corso di Icra 2016, la più importante conferenza internazionale dedicata alla robotica e all’automazione svoltasi a Stoccolma in Svezia organizzata dal Politecnico (Kth). Sono stati molto sorprendenti i dispositivi tecnologici presenti al convegno: mani sempre più abili nell’afferrare e manipolare oggetti, occhi sempre più potenti, materiali più economici, duttili e leggeri. Una vera e propria rivoluzione tecnologica che spiana la strada alla fabbrica automatizzata e digitalizzata del terzo millennio. Sembrerebbe quindi in arrivo una nuova generazione di macchine, dunque, capace di lavorare al fianco dell’uomo, dalle fabbriche al mondo del terziario, fino a sostituirlo. L’Italia al momento abbonda purtroppo di quei tipi di lavori che lo studio identifica come facilmente sostituibili, come impiegati, lavori di supporto amministrativo e segretariato, magazzinieri, e (sorprendentemente) venditori. Come fa notare l’Ocse riguardo all’esperienza di Amazon sulle vendite, i computer non sanno infatti ‘vendere’ direttamente, ma prevedono molto meglio i gusti dei compratori in base ai loro acquisti precedenti e allo status socio-economico. All’estremità inferiore della scala di sostituibilità ci sono invece quei lavori dove c’è poca ripetitività e dove conta l’intelligenza sociale: manager, ricercatori, scienziati, insegnanti, avvocati, artisti, medici e infermieri. Per il lavoratore italiano la buona notizia potrebbe però arrivare dalla lentezza storica delle aziende italiane nel sostituire le persone con macchine e soprattutto dall’importanza data ai dipendenti nel contesto delle piccole e medie imprese. Il problema a quel punto diventerà però quello di affrontare mercati dove altre aziende riusciranno a produrre a costi inferiori grazie all’uso di macchine e robot, là dove la tecnologia sembra ormai matura per mettere in produzione umanoidi in grado di automatizzare e controllare processi e di supportare e coadiuvare l’uomo in tante attività ripetitive, scomode o troppo invasive. Ovviamente andrà capito come tutto questo avrà impatti dal punto di vista delle relazioni interpersonali, con l’introduzione di macchine al posto dell’uomo in alcuni contesti lavorativi. E in che termini l’umano verrà rimpiazzato dal quasi-umano, che non consuma, non si stanca, non si lamenta, non sciopera.

Il lavoro salva l’uomo da tre grandi mali: noia, vizio e necessità (Voltaire)