imageCi rivolgiamo spesso avanti con computer e tecnologie del futuro, ma ogni tanto è il caso di guardarsi indietro e stupirsi di come tutto sia nato, un po’ come accade quando studiamo la storia, per conoscere le basi della nostra evoluzione. Un binomio essenziale è quello che sussiste – da sempre – tra missioni spaziali e tecnologia informatica, l’anima delle grandi imprese di esplorazione del cosmo: basti pensare ai computer, sempre più sofisticati e potenti, posti a supporto degli astronauti, o, ancora di più, a sonde, rover e lander scesi su altri pianeti, che si autogestiscono con dei cervelli elettronici. Gia negli anni Sessanta, teatro delle prime, grandi imprese spaziali orientate alla conquista della Luna, i computer di bordo cominciarono ad avere una discreta capacità di memoria, seppur non paragonabile alle tecnologie di oggi. La missione Apollo 11, infatti, portò l’uomo sulla Luna nel luglio 1969 con un computer – o meglio dire una serie di computer – dalla potenza oggi quasi ridicola. Si dice spesso che questi dispositivi erano meno performanti degli attuali orologi digitali da polso e non è poi così lontano dalla verità. Ma d’altra parte non si deve dimenticare che verso la fine degli anni ’60 i computer erano macchinari abnormi, complessi e spesso portati a malfunzionamenti. Nonostante questo, tutte le missioni Apollo (tranne la prima, finita tragicamente con un incendio, a Terra) sono andate a buon fine. E vengono i brividi a pensare che questi computer abbiano guidato tre uomini a bordo di una navicella per oltre 350.000 km dalla Terra alla Luna, facendoli allunare con successo, recuperandoli e riportandoli sani e salvi sul pianeta. In seguito i calcolatori nelle missioni spaziali con astronauti diverranno sempre più affidabili, decretando il via alla costante ascesa del livello di informatizzazione delle stazioni spaziali, così come qualsiasi aspetto della nostra vita, con computer che arriveranno a prendere in gestione totale e in modo autonomo tutte le fasi del lancio. Ma la vera svolta è arrivata negli anni Novanta, in cui è iniziata l’era delle stazioni spaziali. Inaugurata dalla stazione russa “Mir” e poi con la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) che oggi orbita a circa 400 chilometri dalla Terra. Un grande struttura, che non potrebbe funzionare senza un sofisticato apparato di elaborazione dati. La ISS è dotata di un centinaio di computer portatili IBM e Lenovo ThinkPad, modelli A31 e T61p. Grazie alle moderne tecnologie, gli astronauti di oggi possono navigare in rete e parlare con le loro famiglie sulla terra, ma il canale di comunicazione deve essere protetto. A questo scopo vengo usati dei speciali buffer protettivi che proteggono gli astronauti dai pericoli del web. E nel frattempo, con l’avvento dei privati, ecco entrare in scena la prima “Astronave del XXI Secolo“, la Dragon V2. La produce SpaceX di Elon Musk, più noto al grande pubblico per le vetture elettriche dell’altra sua azienda, la Tesla. Il veicolo spaziale è dotato dei computer più potenti e sofisticati oggi disponibili, in una cabina che permette di ospitare sette astronauti per un massimo di sette giorni, con un pannello di controllo formato da quattro schermi touchscreen riposizionabili dopo il lancio, e soli pochi comandi per il controllo manuale della capsula. Nel maggio scorso, la compagnia aerospaziale privata di Elon Musk, SpaceX, ha sottoposto la capsula Dragon V2 a un importante test di salvataggio (chiamato in gergo pad abort). La navicella, priva di equipaggio, è partita da Cape Canaveral per simulare un incidente in fase di decollo: a 1,3 chilometri di quota la capsula è stata proiettata con successo lontano dai propulsori, per poi tornare a terra con il supporto di un paracadute. Nel 2017 si terrà la prima prova con equipaggio a bordo, pertanto possiamo dire che si aprirà virtualmente la strada ai viaggi negli angoli più remoti del Sistema Solare.