imageAlcuni metalli usati nei prodotti hi-tech, dai pc ai telefonini, nei prossimi decenni potrebbero essere difficili da reperire, essendo estremamente difficile riciclare elementi come cromo, tungsteno e tantalio dagli oggetti che vengono gettati via. Tutto ciò si rifletterà in futuro nella produzione dei dispositivi tecnologici, che potrebbero iniziare ad essere costruiti interamente in materiale plastico. Già al momento della presentazione di un nuovo terminale si scatenano sempre i commenti sui materiali utilizzati per realizzarlo, sia che si tratti di policarbonato che di alluminio. In entrambi i casi, giustamente, entra in gioco il gusto personale, ma ci sono comunque dei dati oggettivi sui quali ragionare. Il policarbonato altro non è che un peculiare tipo di plastica, trattato e resistente, molto più economico da lavorare rispetto all’alluminio, che permette ai produttori di abbattere i costi, creando smartphone leggeri e piuttosto resistentiLa plastica, però, è un pessimo conduttore che, a causa del surriscaldamento eccessivo, potrebbe non rendere prestazioni ottimaliC’è tuttavia un altro piccolo particolare che rende questo materiale non proprio amatissimo: la plastica si ottiene dalla lavorazione del petrolio. I rifiuti plastici, dunque, hanno quasi tutti una biodegradabilità lentissima, ma non solo: molte plastiche non possono nemmeno essere bruciate negli inceneritori o in un comune caminetto perché producono diossina. Pertanto, se è vero che i metalli per la produzione di smartphone iniziano a scarseggiare, è pur vero che l’inquinamento da plastica non è da sottovalutare: pensate che la plastica è quel materiale che in mare soffoca i pesci e all’aria deturpa l’ambiente e rilascia sostanze tossiche. Dunque, appurato che la plastica è tanto utile quanto dannosa, come limitare i danni? Può bastare l’aver messo al bando i sacchetti non biodegradabili? Certamente no.